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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

24/06/2018.  BARLETTA - GAETANO NANULA, IL GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA SCOMPARSO PREMATURAMENTE, NELLE PAROLE DEL NIPOTE: COMMOVENTE TESTIMONIANZA DI AFFETTO E RITRATTO DI UN UOMO SEMPRE AL SERVIZIO DELLO STATO PER LA GIUSTIZIA ED IL RISPETTO DELLA LEGGE .

La scomparsa del generale Gaetano Nanula, già comandante in seconda della Guardia di Finanza, ha lasciato un segno profondo nella sua città natale.

Barletta lo ha ricordato nell'occasione del recente trigesimo con immutata partecipazione. E' nelle parole pronunciate durante i funerali, alla presenza del Generale comandante Giorgio Toschi, intervenuto alla cerimonia, dal nipote del generale Nanula, il giudice Gaetano Labianca, che si ritrova il più sincero ritratto (disegnato con tratto familiare davvero commovente) di un uomo votato al servizio dello Stato, alla legalità, alla lotta contro il crimine nel continuo approfondimento scientifico e di studio.

Volentieri pubblichiamo il testo dell'estremo saluto.

"Signor Comandante generale, a nome della mia famiglia e mio personale, la più sincera gratitudine per aver deciso di partecipare e presenziare a questa cerimonia.

La Sua presenza, Signor Comandante, carica di un ulteriore, elevato significato questa cerimonia.
Insieme a Lei ci sono i rappresentanti della Guardia di finanza del tempo che viviamo, il Comandante Regionale della Puglia, il Comandante Regionale della Campania, il Comandante Regionale della Toscana, il Comandante del gruppo di Barletta- Andria-Trani.

Anche a loro, come pure agli uomini delle istituzioni civili oggi presenti, il Prefetto, il Presidente della Provincia, il Commissario Prefettizio, il Procuratore Generale presso la Corte di Appello, il mio Presidente del Tribunale, il Magnifico Rettore dell’Università di Bari, ai miei amici e colleghi magistrati, alle altre autorità, civili e militari va il mio – e quello dei miei familiari - personale ringraziamento.
Qui, nella chiesa del Santo sepolcro, forse tocca a me – che sono il nipote più grande - ricordare uno degli uomini che ha scritto alcune delle pagine più straordinarie della storia della Guardia di finanza.

Intendo ringraziare di cuore tutti i presenti, uno per uno, per essere presenti qui oggi.

Per ciascuno delle autorità e degli ospiti presenti vi sarebbero doverosi ringraziamenti personali e parole di stima da spendere; oggi però mi permetterete di ricordare solamente mio zio, il Generale Gaetano Nanula.
Uno dei figli più cari della Guardia di finanza.

Uno di quei figli che, partendo dalla sua amata città di Barletta, ha ricoperto, a prezzo di altissimi e faticosi sacrifici personali, la più alta carica della istituzione che ha rappresentato, la carica di Comandante in seconda della Guardia di finanza.

I suoi anni da Comandante in seconda della Guardia di finanza sono stati caratterizzati da una straordinaria capacità di guida sicura, dal suo tratto signorile, dalla sua vasta esperienza, dalla sua profonda cultura giuridica nonché dalla consapevolezza piena dei difficili tornanti della vita del Corpo della Guardia di finanza.

In questo giorno cupo, di dolore atroce e insopportabile, sento di dover dire a tutti che alla Guardia di finanza mio zio ha sacrificato la vita, al servizio dello Stato, per la giustizia, la legalità e le libertà di tutti i cittadini.

Una istituzione nella quale mio zio è assurto alla statura del mito, dell'esempio di dedizione, integrità morale, intelligenza e rigore estremo nel condurre la lotta contro l’evasione fiscale e le mafie, fino ad essere percepito come l’archetipo e il modello di finanziere da migliaia di giovani pugliesi, che hanno deciso di seguire le sue orme, intravedendo in lui un vero e proprio simbolo della loro terra, uno di quegli uomini che – insieme a tante altre eccellenze ed intelligenze – ha reso grande la nostra cara terra di Puglia.

Non sta a me rammentare le doti che lo caratterizzarono nel suo ricco e fertile percorso di ufficiale della Guardia di Finanza, e la sua visione, anche pionieristica, nell'analisi e nella repressione dei fenomeni di evasione fiscale e mafiosi; le sue qualità professionali si ricavano in modo nitido dai suoi scritti sulla mafia e sulla lotta all’evasione fiscale, veri e propri strumenti investigativi e processuali, divenuti poi gli architravi nella strategia di contrasto delle organizzazioni criminali mafiose e all’evasione fiscale dei reparti operativi: penso altresì alle sue intuizioni sul ruolo centrale della formazione con il Corso Superiore degli Ufficiali della Guardia di Finanza, alla necessità di un confronto con l’Università e la Magistratura, alle innovative funzioni affidate alle scuole di istruzione dei finanzieri, all'insistenza circa la necessità di estendere gli orizzonti investigativi fuori dal territorio nazionale.

Si tratta di intuizioni che determinarono scelte anche politiche, capaci di conseguire eccezionali risultati nel contrasto all’evasione fiscale e a fenomeni mafiosi e di generare radici di modelli organizzativi alla base di orizzonti culturali determinanti per le funzioni della Guardia di finanza moderna, per le Fiamme Gialle di oggi.

Mi piace ricordare, tra gli altri, la sua Direzione della Scuola di perfezionamento delle forze di Polizia, il Comando di prestigiosi reparti, tra i quali il Nucleo regionale di polizia tributaria di Palermo, con giurisdizione sull’intera Sicilia, il Comando della zona di Napoli, di Bari, della Scuola di Polizia tributaria, il ruolo di Consulente della Commissione di inchiesta sul fenomeno mafia, il doppio premio della cultura della Presidenza del consiglio dei ministri, il suo impegno presso l’università, solo per citarne alcuni.
Se mi doveste però chiedere alcuni aspetti della sua personalità poco noti, vi racconterei che una volta, ad un omologo Comandante militare russo che gli chiese – in un viaggio di istruzione all’estero con il Corso superiore - quali fossero i suoi superiori, il ministro o il politico cui dover dare conto, lui rispose che il suo unico superiore era soltanto la legge.

La legge.

La legge, intesa come dover essere, come impulso costante, come determinatore di un impegno morale che costituisce il contrappunto dell’adempimento del dovere, quest’ultimo da leggere come termine di una stessa categoria, come riflesso, tipicamente soggettivo, della prima.

A questo senso del dovere, a questo imperativo morale non si è mai sottratto, mantenendo quale energica vocazione quella di servire sempre lo Stato, quale incessante sforzo di conquista, continua lotta per ritrovarsi nella collettività, per sentire quella legge come sua, per celebrare nella legge la propria libertà.

Ma mio zio non era solo questo: aveva uno straordinario tratto di ottimismo, di positività e fiducia, nel raccogliere e spesso vincere sfide terribili ed epocali; una qualità fondamentale che si sposava in lui con quella costante capacità di precorrere il proprio tempo, lasciando semi fertili e plasma per il pensiero e l’azione di chi segue.

A mio fratello Benedetto, a sua moglie Lucia e a voi, finanzieri tutti, spetta il compito di raccogliere e coltivare le intuizioni e le idee di mio zio, che oggi più che mai la Guardia di Finanza ha il dovere di valorizzare, sostenere e diffondere, come un testamento spirituale.

Quanto a me, vi chiederete che tipo di rapporto particolare avessi con mio zio: come molti di voi già sanno, un rapporto certamente superiore a quello tra zio e nipote, un rapporto che può certamente definirsi filiale.

Dopo la scomparsa prematura di mio padre per una inguaribile malattia, mio zio ha fatto da padre a me ed ai miei fratelli.

Io sono quel bambino che, coi pantaloni corti, andava ad aspettarlo alla stazione di Barletta quando tornava dal Comando generale, o dagli altri Comandi territoriali.
Allora, siccome il treno faceva sempre ritardo, mi sedevo sui gradini della ferrovia e lo aspettavo.

Tra la folla, scorgevo sempre i suoi occhi sorridenti e felici; nella valigia aveva sempre un regalo per me, ed era così intensa la curiosità che non resistevo alla tentazione, e lo aprivo sempre lungo il tragitto per arrivare a casa.
Io sono quel ragazzo cui regalava sempre dei libri, di cui comprava i racconti, per incoraggiarmi a scrivere, che ha fatto studiare all’università.

Mio zio è stato, come nel romanzo di Dickens “Grandi Speranze”, il mio mecenate.

Ha fatto lo stesso per i miei fratelli.

Ogni tanto, mi raccontava storie; storie di straordinari uomini con cui aveva lavorato fianco a fianco e che erano caduti per affermare la dignità del loro ruolo di magistrato; mi raccontava anche storie di pericoli, di massonerie, di uomini malvagi aventi il fine di far abdicare lo Stato.
Io sono cresciuto nel mito di quegli uomini straordinari che hanno dato la vita per le istituzioni.

Ed è stato grazie a mio zio che è iniziata la mia passione prima per la scrittura, e poi per il diritto.

Anch’io adesso, sono un servitore dello Stato.

E poi la sua presenza, in tutti i momenti, belli e brutti, della nostra vita, sullo sfondo di una quotidianità semplice, con allegria, senza inoppugnabili convinzioni e senza prenderci troppo sul serio: mi chiedeva continuamente di accompagnarlo, e nei nostri viaggi c’eravamo solo io e lui, e le nostre conversazioni.

Ci siamo detti sempre tutto.

E continueremo sempre a dircelo.

Porterò con me per sempre le nostre conversazioni, nelle quali riaffiorava quasi sempre l’impronta del mestiere, ma che finivano quasi sempre con la considerazione che, in effetti, le categorie della virtù morale e della felicità non sono affatto incompatibili, ma complementari.

La felicità, mi diceva, non è nient’altro che la coscienza della pienezza della propria vita, realizzata in perfetta aderenza a tutti i valori nei quali essa si fa realmente sé stessa.

Io ho capito che non è nient’altro la felicità, se non lo slancio dell’amore.

E mio Zio ci ha dato solamente amore, amore incondizionato, senza confini.

Ieri mattina non si è ripetuta la consueta telefonata mattutina di mio zio, con la quale mi chiedeva come stessi, “io”, e con cui mi comunicava che “lui stava, sì, un po' meglio”, anche se non era affatto vero - e lo sapevamo tutti e due - e che avrebbe fatto volentieri una passeggiata, “a Dio piacendo”, come diceva Lui.

Non si ripeterà più la consueta telefonata domenicale, nella quale mi chiedeva “se le bambine venissero a pranzo dalla nonna”, così poteva andare a comprare i dolci da Mosè.

Non si ripeterà più la telefonata del lunedì mattina, mentre io sono in udienza, e siccome non posso rispondere, allora faccio rispondere alla mia assistente e lui non si arrabbia, ma si intrattiene con lei per delle ore, anche se non la conosce.

Ora che mio zio è nelle mani di Dio, è nella luce, mi sto interrogando sul significato del viaggio che sta per intraprendere: quanto durerà il viaggio, se nel viaggio si possono vedere le stelle, quanto tempo si impiega per raggiungere Dio; ma tu non devi preoccuparti, zio Nino, perché non sei solo, lassù.

C’è Papà, c’è mio padre ad accompagnarti nel viaggio.
Una volta ho sentito dire da qualcuno che siamo fatti dello stesso materiale delle stelle.

Ma allora, se questo è vero, non stai partendo, forse stai solamente tornando a casa, Zio Nino.

Con l’amore di sempre,

Gaetano





 

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