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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

17/10/2006.  L'AMORE DI DIO È IN MEZZO A NOI.


Iniziamo il nuovo Percorso pastorale diocesano


Carissimi,
la solennità liturgica della Natività di Maria ci fa immediatamente respirare l'aria dolce e calda della famiglia, luogo dell'amore e fonte della vita. Ecco «il giorno felice in cui apparve nel mondo come splendida stella l'immacolata e gloriosa Madre di Dio»! Così canta la Chiesa nel prefazio della Messa d’oggi. E’ proprio questo “apparire” della vita di Maria che noi celebriamo, nella lode e nel rendimento di grazie al Signore: una vita che muove i suoi primi passi e che la liturgia contempla come aurora che annuncia l'irradiarsi del "sole di giustizia", Cristo Gesù. Davvero Dio ha posto in Maria le sorgenti della vita (cfr. Salmo responsoriale), in una forma singolarissima e unica: infatti, dal suo cuore e dal suo grembo prenderà vita Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo per noi.
E così ci sentiamo subito immessi nel Percorso pastorale diocesano che oggi inizia un nuovo triennio, dedicato alla famiglia. Potremmo dire: dedicato all'amore di Dio che è in mezzo a noi, un amore che forse per alcuni è sconosciuto e per altri è velato, ma per chi ha ricevuto il dono della fede è sentito realmente presente e operante nell'esperienza umana fondamentale dell'amore, del matrimonio e della famiglia.
A lei, a Maria santissima, nel giorno memoriale della sua nascita e per la sua dignità di vergine Madre di Dio, a lei, in cui si specchia più luminoso e intenso possibile l'amore di Dio che è in mezzo a noi, vogliamo affidare il cammino spirituale e pastorale della nostra Chiesa ambrosiana

1. Il nuovo Percorso pastorale diocesano

Non hanno più vino... Fate quello che vi dirà.
In particolare, vogliamo riascoltare due parole che Maria ha detto durante le nozze di Cana. In realtà, continua a ripeterle dentro le vicende concrete della vita di ogni coppia e di ogni famiglia.
Scrive Giovanni nel suo vangelo: «Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ‘Non hanno più vino’» (2,3).
Non hanno più vino. Se guardiamo alle famiglie - alle nostre famiglie e a tante altre che conosciamo - ci è dato di vedere molte realtà positive, belle, splendide: l'amore, la dedizione, la pazienza, la fedeltà al dovere, lo spirito di sacrificio, la cura per la vita, l'impegno per l'educazione, il servizio ai malati e ai sofferenti, l'apertura e la carità verso i poveri e i bisognosi, ecc. C'è davvero grande ricchezza umana ed evangelica, morale e spirituale in tante famiglie, spesso umili, nascoste, ordinarie: famiglie che, pur nelle difficoltà, conservano la speranza, anzi la sanno offrire anche agli altri.
Ma il nostro sguardo sulle famiglie registra pure tante situazioni di grosse difficoltà, di disagio rilevante, di crisi, di incomunicabilità e di divisioni, di disamore e di abbandono. E così la realtà fondamentale dell'amore e della vita è messa a dura prova, a volte compromessa, a volte rifiutata: situazioni tutte che portano alla non-speranza, o fanno precipitare nella più inquietante disperazione, causa e frutto di ribellioni e di solitudini insopportabili.
Se poi consideriamo la famiglia, non come realtà chiusa in se stessa, ma come nucleo di base del tessuto relazionale concreto, come crocevia dei vari ambiti di vita, il grido "non hanno più vino" si fa più forte e angoscioso. I diversi ambiti. sui quali la Chiesa italiana sta riflettendo in vista del Convegno Ecclesiale nazionale di Verona (16-20 ottobre 2006), ci fanno cogliere in modo immediato come l'affettività, il lavoro e la festa, la fragilità, la trasmissione dei valori, la cittadinanza o partecipazione alla vita della società, investano le famiglie - singole e insieme - di pesi, fatiche e sofferenze, sfidandole duramente nel loro insopprimibile bisogno di speranza.
Un'altra parola dice Maria alle nozze di Cana, così registrata dall'evangelista Giovanni: «La madre dice ai servi: ‘Fate quello che vi dirà’» (2,5). Fate quello che vi dirà. E il seguito lo conosciamo: Gesù ordina ai servi di riempire le sei grosse giare di pietra, di attingervi e di portarne al maestro di tavola: quell'acqua non è più acqua, è vino, è "vino buono", vino in quantità eccezionale, veramente sovrabbondante. Così accade il primo miracolo di Gesù: lo Spirito, che fa nuova la vita, è donato agli sposi, ai convitati, alla Chiesa e all'umanità tutta; è donato attraverso l’offerta suprema dell'amore senza limiti, straripante di Gesù sulla croce. Qui la speranza ha la sua sorgente sempre fresca e inesauribile: anche la speranza delle famiglie. È questo il "Vangelo della famiglia", la buona notizia loro annunciata già a cominciare da Cana; la notizia lieta e apportatrice di gioia, la notizia che indica la fonte della speranza e insieme la "apre", rendendola disponibile a tutti coloro che non hanno più vino.

Chiesa e famiglie: comunità accoglienti e in ascolto
Ecco allora l'impegno che come Chiesa ambrosiana - in tutte le sue concretizzazioni vive: comunità parrocchiali, realtà di Chiesa, famiglie, singoli - ci assumiamo con questo nuovo Percorso pastorale: l'impegno "generale", che tutto in qualche modo compendia, e insieme "radicale", che diviene principio sorgivo e dinamico di tutto, è di essere Chiesa e famiglie che a tutti presentano il volto di comunità accoglienti e in ascolto, perché rinnovate dal vino nuovo dello Spirito.
È il volto stesso di Gesù, così come viene presentato da ogni pagina del Vangelo: Gesù sta in mezzo alla gente, la incontra, la ascolta, la accoglie. Lui in persona è l'accoglienza fatta carne, perchè la sua vita è tutta ascolto e obbedienza al Padre e compassione per gli uomini, una compassione che lo porta al dono totale di se stesso sulla croce.
Così Gesù, e così deve essere la sua Chiesa! Tutti noi, allora, siamo chiamati a condividere e a rendere presente, ogni giorno e con tutti, l'accoglienza stessa del cuore di Cristo. Come ho scritto nel Messaggio ai fedeli della Diocesi, che verrà distribuito in tutte le comunità domenica prossima, «A chi mi chiede quale sia la prima condizione perchè le nostre comunità e le nostre famiglie siano autenticamente missionarie, rispondo senza esitazione: che siano sempre più comunità accoglienti, così che chiunque vi si avvicina si senta accolto, ascoltato e amato».
Il primo passo dell'accoglienza è l'ascolto. Ma chi e che cosa dobbiamo ascoltare? Le famiglie e il "loro" vangelo!
Sí, sono le famiglie che hanno bisogno di essere ascoltate, così come siamo noi per primi ad aver bisogno di ascoltare le famiglie, le loro "parole", la loro "vita". «In un mondo in cui l'esperienza dell'amore, del matrimonio e della famiglia è in continua e profonda trasformazione, è urgente metterci in ascolto della vita quotidiana e accogliere le parole delle famiglie... E i destinatari primi dell'ascolto dovranno essere i più lontani: le famiglie distanti dalla fede, dall'attività ordinaria delle parrocchie e quelle particolarmente provate dalla vita; e i più vicini: tutti gli operatori pastorali impegnati nei confronti delle famiglie» (Messaggio ai fedeli della Diocesi).

Dal vangelo delle famiglie al vangelo di Cristo
Ma ecco la sorpresa che ci viene dalla fede: nell’ascoltare le parole delle famiglie non dimenticando mai che queste stesse famiglie, proprio nei sentimenti e nei gesti della vita quotidiana, stanno scrivendo il loro vangelo, stanno comunicando la loro “buona notizia”. Scrivono talvolta con caratteri luminosi, perchè credono o intuiscono determinati valori di verità e di bontà come riflesso dell'amore di Dio e insieme si impegnano a viverli. Talvolta invece scrivono con caratteri oscuri, perchè si allontanano dal vero e dal bene. E comunque, anche in mezzo ai dubbi, alle contraddizioni, ai rifiuti, rimane accesa in tutti la sete della felicità vera e piena. È per questa via che Dio si offre a tutti e che tutti, lo sappiano o non, sono in cammino verso di lui.
Può nascere allora in tutti un interesse, una disponibilità o un bisogno di andare alla ricerca di un’altra parola, di una parola diversa dalle solite, capace cioè di dare luce, speranza, risposta ai propri problemi e alle proprie attese. Essere presenti e partecipi, con amore sollecito e discreto, in momenti come questi diviene una grazia per noi e per le famiglie. Sì, una grazia perché forse è giunto il momento favorevole: quello di metterci in ascolto, tutti insieme – comunità e famiglie –, di una parola più importante e decisiva, in ascolto delle “parole di vita eterna” (Giovanni 6,68), in ultima analisi di Gesù Cristo stesso e del suo Vangelo che libera e salva.
E può avvenire allora una scoperta sorprendente, che ci fa guardare con occhi nuovi l’amore: il nostro amore umano, pur non poche volte povero, minacciato, incoerente, ha la sorgente e la forza del suo realizzarsi autentico nell’amore di Dio, in quell’amore che ci è stato manifestato e comunicato da Cristo nel dono di sè sulla croce. Sì, «in questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perchè noi avessimo la vita per lui» (1 Giovanni 4,9). Proprio di questo amore è riflesso reale l’amore umano!
Qui, nel fianco squarciato del Crocifisso e nel sangue e nell’acqua che ne scaturiscono, sta la speranza di cui tutti noi nella vita quotidiana, specie se provata e travagliata, abbiamo grande bisogno. Qui sta la speranza perchè qui sta l’amore: l’amore “sino alla fine”, sovrabbondante, eccedente, senza calcolo o misura, folle e “sprecato” di Cristo morto e risorto.
Questo è il “Vangelo della famiglia” al quale vogliamo riservare, quest’anno in particolare, attento ascolto, per poterlo poi annunciare e testimoniare con una vita coerente. Di qui l’appello che a tutti rivolgo nel Percorso pastorale: «La Chiesa ha ricevuto il dono prezioso della Sacra Scrittura e sente la responsabilità di affidarlo a ogni famiglia, “chiesa domestica”, come primo e fondamentale gesto della sua fede, perchè tutti nella casa – coniugi e figli – imparino a leggerla e a conoscerla, ad amarla e a pregarla, a viverla. Chiedo che tutte le parrocchie e le altre realtà di Chiesa... promuovano con rinnovato slancio missionario l’accostamento alla Bibbia... Si trovino pertanto le modalità opportune e adeguate per consegnare in dono, in particolari e significative occasioni, il testo della Bibbia introducendo le famiglie a un’esperienza più ampia, capillare e vitale di accostamento alla parola di Dio» (n. 49).
Carissimi, in questo primo anno del Percorso pastorale dedicato all’ascolto sono diversi i passi da compiere, le attenzioni da avere, le iniziative da sviluppare da parte della comunità cristiana, cioè di tutti, nella varietà e complementarietà dei doni e dei compiti, delle vocazioni e condizioni di vita. E il testo del Percorso pastorale, che affido alla vostra lettura e alla vostra passione missionaria, è chiaro e concreto. Davvero c’è posto per tutti e lavoro per tutti! «Puntiamo sull’essenziale. Andiamo al cuore di ogni persona» (Percorso, n. 52).
Che il Signore ci doni di accogliere e di far risuonare in noi e negli altri – in tutte le 1107 parrocchie della Diocesi - l’appello Famiglia ascolta la parola di Dio!

2. Per una rinnovata pastorale d’insieme nello spirito e nella realtà della comunione

Su di un’altra meta che ci deve coinvolgere quest’anno attiro ora la vostra attenzione. Essa riguarda la rinnovata pastorale d’insieme e lo spirito e la realtà di comunione da cui deve essere animata e sostenuta.
Di questo ho parlato al presbiterio diocesano nell’omelia della Messa crismale nell’ultimo Giovedì santo: Preti missionari per una rinnovata pastorale d’insieme. Ma in quell’omelia erano coinvolti non solo i preti, bensì tutti: anche i diaconi, le persone consacrate e i fedeli laici, in una parola le nostre comunità parrocchiali e tutte le varie realtà di Chiesa. Urge ora che quel messaggio, anzi quella precisa indicazione, raggiunga davvero l’intera comunità cristiana, non ultima la sua “base”, come si suole dire, e chiedo che il testo di quell’omelia e dell’annessa “Nota” formi oggetto di attenta considerazione per tutti gli operatori pastorali, a cominciare dai Consigli pastorali.

Come il buon Pastore, giungere a tutti e a ciascuno
Carissimi, non c’è dubbio che la nostra passione, il nostro impegno e il nostro servizio pastorale devono avere sempre come fonte e modello Gesù Cristo, il buon pastore. La sua parola diviene per tutti noi comandamento di vita e di azione: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me... E ho altre pecore che non sono di quest’ovile, anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce...» (Giovanni 10,14.16).
Giungere a tutte le persone e a ciascuna di esse è l’impegno da tenere sempre acceso e da rendere vita della nostra vita e forza dell’azione pastorale delle nostre comunità. È un pensiero, questo, che mi ritorna spesso e che mi suscita grande trepidazione, se considero le comunità parrocchiali della nostra Diocesi: il loro numero, la loro consistenza numerica, la loro distribuzione sul territorio, la scarsità di sacerdoti e di laici impegnati, ma non meno - nel contesto sociale e culturale d’oggi – l’urgenza di una nuova evangelizzazione, di un’educazione alla fede matura nel pensiero e nella vita, di una formazione capace di rendere ragione della speranza cristiana di fronte a impostazioni estranee o contrarie al Vangelo e talvolta alla stessa ragione umana. Senza dire degli attuali ritmi di vita e di lavoro che di fatto impediscono o rallentano l’accostamento delle famiglie mediante un rapporto personale, oggi forse più avvertito e desiderato.
E’ proprio in questo contesto che si pone la rinnovata impostazione pastorale che la nostra Chiesa sta iniziando a vivere, con inevitabile fatica ma anche con disponibilità generosa da parte di sacerdoti e di laici: un’impostazione che ha di mira l’incontro con tutti i fedeli, che vuole giungere a tutti – credenti e non credenti - e nel clima di una conoscenza reciproca il più possibile personale.
Sì, se pensiamo e vogliamo più comunità parrocchiali in vario modo collegate istituzionalmente tra loro, guidate da un gruppo compatto e articolato di responsabili (sacerdoti, diaconi, consacrati e laici), ordinate a realizzare un progetto pastorale unitario e condiviso capace di intercettare le esigenze del territorio, amate e servite con il dispiegarsi di diversi ruoli e compiti, le pensiamo e le vogliamo non certo con l’intento di una qualche strategia umana, ma precisamente nella docile obbedienza allo Spirito, che chiede di dire il Vangelo oggi raggiungendo missionariamente «tutto il mondo» e «ogni creatura» (cfr. Marco 16,15) in termini storicamente credibili ed efficaci.
Non la lontananza o il distacco, ma la maggiore vicinanza possibile oggi alla nostra gente: questo solo ci spinge!
Ma ciò sarà possibile solo se e nella misura in cui si svilupperà una condivisione cordiale e responsabile da parte di tutti: delle comunità nel loro insieme e di quanti le compongono, dai sacerdoti ai laici.

Un cammino di comunione-collaborazione-corresponsabilità
Di qui l’urgenza che insieme dobbiamo accogliere e vivere: coltivare la comunione ecclesiale nel suo spirito e nella sua traduzione concreta. Alla base sta la comunione che è propria della Chiesa, quella che fa di tutti i credenti «un cuore solo e un’anima sola» (Atti 4,32), l’unica grande famiglia di Dio, l’unico Corpo di Cristo, l’unico tempio dello Spirito. È quanto, per grazia, deve realizzarsi e manifestarsi non solo all’interno di ogni nostra comunità parrocchiale, ma anche tra le diverse comunità parrocchiali.
Ma una simile comunione conduce alla collaborazione, perché dal cuore e dall’anima non si può non passare ai gesti concreti della vita, alle iniziative in atto, in profondità al dono reciproco e al servizio vicendevole (cfr. Romani 12,9ss.). Una comunione che non fiorisce nella collaborazione operativa concreta, ovviamente nella misura del possibile e là dove c’è reale esigenza di azione, non è autentica o comunque non è ancora adeguatamente formata.
Comunione e collaborazione, a loro volta, non possono non sfociare in forme di vera e propria corresponsabilità. Se ad incontrarsi sono le persone – ossia esseri coscienti e liberi -, il dialogo e la condivisione riguardano anche la mente e la volontà: la mente che valuta la realtà e la volontà che liberamente affronta e plasma la realtà. Si incontrano e si confrontano così anche le valutazioni da dare e le decisioni da prendere circa i problemi, le risorse, le iniziative, i progetti pastorali della comunità cristiana. E questo, certamente rispettando i diversi doni e compiti, ma anche riconoscendo con gioia la comune dignità e responsabilità di tutti nella vita e nella missione della Chiesa. Senza corresponsabilità, la collaborazione – che nasce dalla comunione - è incompleta, anzi non è rispettosa del carattere ragionevole e libero delle persone. Veramente le tre realtà simul stant, vel cadunt!
Carissimi, su questa triade comunione-collaborazione-corresponsabilità dovremo impegnarci con pazienza e con fiducia, convinti che al di fuori di essa non può essere garantita e promossa la vera ecclesialità dell’impegno pastorale, né essere realizzata un’autentica pastorale d’insieme per una Chiesa sempre più missionaria. È in questo senso che nel Percorso pastorale – in riferimento al tema di quest’anno, ma ciò vale per ogni altro ambito – ho scritto che «la comunità tutta intera è coinvolta come comunione tra le sue stesse articolazioni per favorire un lavoro comune – nella fondamentale logica della comunione-collaborazione-corresonsabilità – sia all’interno delle parrocchie, delle unità pastorali, delle nuove comunità pastorali, dei decanati, sia tra di loro». E aggiungevo: «Anche nel definire e nel far decollare in modo positivo e promettente le nuove configurazioni pastorali è importante ascoltare le famiglie per ricercare e individuare nuove modalità di se servizio nella cura pastorale del popolo di Dio» (n. 48).

Il rinnovo dei Consigli di partecipazione
Un’occasione preziosa per rilanciare la triade comunione-collaborazione-corresponsabilità per la nostra Diocesi è offerta dal rinnovo dei Consigli pastorali, parrocchiali e decanali – oltre che delle nuove comunità pastorali -, e dei Consigli per gli affari economici delle parrocchie e delle comunità pastorali: un’occasione che non ci è lecito trascurare, ma che esige di essere accolta per un vero rinnovamento della partecipazione attiva e responsabile da parte di tutti i fedeli alla vita e alla missione della Chiesa.
Ora, mentre ringrazio di cuore quanti negli anni passati hanno generosamente prestato la loro opera, desidero incoraggiare quanti ritorneranno nei Consigli e ancor più i nuovi che vi entreranno per questo «servizio tanto necessario – così scrivevo nella lettera del 29 giugno u.s. – per una conduzione sempre più comunionale e corresponsabile delle nostre Comunità, investendo, senza risparmio, capacità ed intelligenza nella diaconia, umile e saggia, del consigliare per rendere più alta la qualità della testimonianza cristiana delle nostre parrocchie, abilitando ciascuno di noi a “rendere ragione” della speranza che ci è donata in “Gesù Risorto, speranza del mondo”».
Per concludere, ci sia di conforto e di stimolo quanto Giovanni Paolo II ha scritto a tutte le Chiese del mondo all’inizio di questo secolo: «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo… Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità…». E concludeva: «Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita» (Novo millennio ineunte, n. 43).

3. Intensificare l’alleanza Seminario-Diocesi

Ed ora è con profonda gioia che mi rivolgo a voi, carissimi giovani, che compite il Rito di Ammissione dei candidati al Diaconato e al Presbiterato e al Diaconato permanente, a voi che davanti al Popolo di Dio dichiarate il proposito di proseguire il vostro cammino verso l’Ordine sacro. E ancora più importante della gioia del saluto è la nostra gratitudine al Signore perchè, con la sua grazia e con la vostra generosa disponibilità, offre alla nostra Chiesa una rinnovata speranza per il futuro dei suoi ministri ordinati.

L’intimo e reciproco rapporto Seminario-Diocesi
Questo Rito di ammissione mi spinge a riflettere sull’importante problematica pastorale e missionaria delle vocazioni sacerdotali e del cammino verso il presbiterato e il diaconato permanente, a partire dall’intimo e reciproco rapporto tra il Seminario e la Diocesi.
Sento forte la necessità che sia confermata e intensificata l’alleanza Seminario-Diocesi. Non sembri esagerato il termine “alleanza”. È piuttosto evocativo di un legame originale che si radica nella “ecclesialità”, di cui sono – e devono essere – profondamente segnati il Seminario e la Chiesa locale.
Come a dire che il nostro Seminario –nella sua struttura, nei suoi contenuti, nelle sue finalità - è nella Diocesi, della Diocesi, per la Diocesi: è inserito, attivamente partecipe e al servizio della vita e della missione della nostra Chiesa ambrosiana.
In questo senso, sono innanzitutto molto grato ai preti del Seminario che, nei loro diversi ruoli di superiori e docenti, nell’accompagnamento quotidiano dei nostri seminaristi, nella ricerca e nelle pubblicazioni, nel servizio pastorale e nella cura delle proposte vocazionali, partecipano in modo qualificato e specifico al cammino pastorale e missionario concreto della nostra Chiesa.
Devo poi riaffermare che il Seminario ha bisogno dell’attenzione, del sostegno, della fiducia della nostra Chiesa e che la nostra Diocesi può fare di più per il suo Seminario: deve averlo veramente a cuore, deve sentirsi coinvolta nella sua vita, e quindi nelle sue difficoltà e speranze. E’ in questa linea che la Diocesi intende continuare a riservare per il Seminario le sue energie migliori e riservarle con larghezza, anche in momenti di difficoltà nella destinazione dei presbiteri nell’intero ambito diocesano.
E c’è un impegno concreto per le nostre comunità parrocchiali e per tutte le espressioni della vita cristiana presenti in Diocesi: quello di riconoscere nel Seminario una istituzione essenziale e di apprezzarne il richiamo profetico e provocatorio, il richiamo cioè a credere che “non c’è vita senza vocazione”, a promuovere un’opera educativa capace di formare alle scelte definitive – come quelle per il matrimonio e per il ministero ordinato -, a seguire con cura ogni ragazzo, adolescente, giovane perché sappia confrontarsi con precise proposte vocazionali. Un’occasione da non perdere è la Giornata per il Seminario che si deve celebrare in ogni parrocchia, come costante opportunità per conoscere e sostenere il Seminario.
Soprattutto nessuno dimentichi che il problema dei problemi dell’alleanza Seminario-Diocesi è il problema vocazionale.

Il problema delle vocazioni sacerdotali
È problema da riprendere sempre e da affrontare sulla misura del cuore di Cristo e secondo la sua parola, come ci ricorda il Vangelo: «Vedendo le folle ne sentì compassione, perchè erano stanche e sfinite come pecore senza pastore» (Matteo 9,36). È esattamente la descrizione delle nostre attuali comunità cristiane, se le leggiamo con realismo. Esse hanno bisogno della “compassione” di Cristo, che ora passa attraverso il nostro cuore e la nostra vita.
Ma come sentire compassione? Di nuovo, l’esempio di Gesù ci indica la strada. Secondo l’evangelista Marco la compassione di Gesù si esprime nell’insegnare molte cose (cfr. Marco 6,34). Così deve essere ancora. Lo smarrimento delle folle deve trovare nella comunità cristiana la parola buona del Signore, che orienti e aiuti ciascuno a trovare la via della vita. È necessaria una rinnovata fiducia nel dialogo e nella predicazione perché nessuno rimanga abbandonato alla confusione e si senta smarrito in una vita insignificante e inutile.
Gesù dice ancora ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi!...» (9,37). La messe è molta! È bellissimo l’aprirsi degli occhi alla speranza, anzi l’allargarsi del cuore scosso dall’entusiasmo e dall’ottimismo. Anche oggi è così, solo se si pensa all’attesa di una salvezza piena che si fa viva in ogni uomo e donna; e, ancor più, solo se si pensa all’amore di Cristo Salvatore che tutti vuole raggiungere!
Ed è solo a partire da questo atteggiamento di speranza che, mentre rileviamo con sofferenza la scarsità degli operai del Vangelo, non possiamo sottrarci alla consegna del Signore: «Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!» (9,38).
Ripeto le parole pronunciate da questo pulpito il giorno del mio ingresso in Milano, il 29 settembre 2002: «Diamo vita a “una grande preghiera per le vocazioni”: sia una preghiera fiduciosa, costante, personale e comunitaria che, come onda benefica, attraversi e coinvolga attivamente i seminari, le comunità parrocchiali, i gruppi, le famiglie, gli anziani, gli ammalati, ogni singola persona».
E per essere ulteriormente concreto, segnalo – come ho fatto nel “Messaggio per la Giornata del Seminario 2006” - una “irrinunciabile attenzione” da custodire e da sviluppare con grande senso di responsabilità: «Le comunità cristiane devono, anzi tutto, curare gli itinerari della preghiera. Non basta che nella Giornata del Seminario ci sia una preghiera per questa intenzione. È necessario che tutti coloro che si trovano ad affrontare le scelte della loro vita, a cominciare dagli stessi adolescenti e giovani, incontrino in modo concreto e significativo il Signore Gesù, imparino a rendere quotidiana la loro preghiera, si esercitino a dialogare con amore sincero e confidente con il Signore sui passi da compiere. Sì, perchè il Signore è vivo, è presente, prende per mano ciascuno di noi e ci accompagna, non permette che nessuno venga travolto dalle tempeste della vita, ma vuole che ognuno raggiunga la piena felicità, che si trova nel “sì” libero e coraggioso al progetto di Dio».

Conclusione: preghiera di san Carlo a Maria santissima

Carissimi, abbiamo tutti bisogno di speranza: sempre, ma specialmente nelle difficoltà e nelle fatiche, quando con paura constatiamo – come alle nozze di Cana - di non avere più vino.
In realtà, solo nella speranza e con la speranza possiamo affrontare la prima tappa del nuovo Percorso pastorale triennale, possiamo inoltrarci più fiduciosi e coraggiosi nella rinnovata pastorale d’insieme coltivando in modo convinto il dono della comunione, possiamo confermare e intensificare l’alleanza Seminario-Diocesi specie nel rilancio della pastorale vocazionale.
E noi siamo certi: la speranza non può venir meno! Scaturisce, sempre nuova e potente, dall’amore senza misura di Cristo crocifisso.
E perchè dalla speranza, che è Cristo stesso, possiamo essere abitati e di essa resi testimoni, preghiamo Maria, la madre di Gesù, con la voce e il cuore di san Carlo Borromeo, che in una sua omelia sulle nozze di Cana così si esprimeva:
«O Madre benignissima, volgi il tuo sguardo a noi dal cielo e vedi la nostra povertà e miseria. Vien meno in noi il vino della carità e del fervore, il vino che fa lieti Dio e gli uomini; vien meno la pietà, vien meno la religione!
Rivolgiti, ti prego, al Figlio dicendogli: O Figlio, non hanno più vino questi che tu hai voluto fossero tuoi fratelli, per i quali sei nato e morto, che hai desiderato abbeverare col tuo preziosissimo sangue (...).
Ma ecco che ora tutto si è cambiato nel vino dell’amore e della soavità! Ora sono fredde a volte anche le anime, ma, quando Cristo vi si accosta, si riempiono di carità e di fervore. Oh quanto è mirabile il cambiamento di quest’acqua nel vino! (…).
Maria, Madre della misericordia e Avvocata del genere umano, implori per noi questo cambiamento dell’acqua in vino, del pianto in gioia; ma cooperiamo anche noi alle sue preghiere, eseguiamo con prontezza qualunque cosa Cristo comandi, così da sperimentare in noi la forza di Dio. Amen».
(Omelia tenuta in Duomo il 15 gennaio 1584: in SASSI, II,367.371-2).

+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano





 

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