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15/11/2006.  LUCIANO CANFORA - Folla alla lezione di storia dell'antichista barese per il ciclo di Laterza.

Tema: «Ottaviano e la prima marcia sulla capitale del 43 a. C.». All'auditorium. Roma, solo posti in piedi

ROMA - Solo posti in piedi, ieri mattina all'Auditorium della capitale, per la lezione magistrale tenuta da Luciano Canfora sulla «prima marcia su Roma» datata 19 agosto 43 a. C. Il professore di Filologia classica dell'Università di Bari ha raccontato la seconda delle nove giornate che hanno cambiato il corso della storia italiana e del mondo, nell'ambito della rassegna «Lezioni di storia, i giorni di Roma» organizzata dagli Editori Laterza e dal Comune, che si tiene nel complesso progettato da Renzo Piano ed è stata aperta il 12 ottobre scorso da Andrea Carandini. Come era già successo per Carandini, il nome di Canfora ha richiamato talmente tanto pubblico da rendere insufficienti i 1.200 posti della sala Sinopoli dell'auditorium e costringendo un altro migliaio di persone a seguire da un maxischermo la rivisitazione di uno dei momenti più sofferti della Roma antica, dopo l'uccisione di Cesare, quando lo scontro sotto le mura di Modena tra le truppe di Antonio ed Ottaviano fa tremare la Repubblica, fino all'ascesa del «Divo Augusto» e le liste di proscrizione, nelle quali c'è anche il nome di Cicerone.

Il cattedratico barese fa un ritratto a tinte forti del figlio adottivo di Cesare, che punta sulla Capitale, scortato da un esercito vincitore; si fa attribuire a 19 anni la massima magistratura imponendo come collega un cugino, che avrebbe fatto uccidere poche settimane dopo; atterrisce, armi in pugno, il Senato, imponendogli di avallare una procedura così sfacciatamente eversiva. Canfora paragona Ottaviano a Mussolini per aver sbaragliato tutti gli oppositori e marciato su Roma per un colpo di Stato. In base a ricostruzioni filologiche, il professore attribuisce a questo straordinario personaggio - passato poi alla storia come il restauratore della legalità e garante della pace - la responsabilità della morte dei due consoli Irzio e Pansa, che lo lascia con il grado di propretore, con cui si presenta al Senato per ottenere l'incarico di console: «Viene in mente il Re che accoglie l'usurpatore e gli offre il governo», prosegue Canfora nel suo parallelo tra il Duce e l'imperatore. Fondamentale per la lettura di Canfora sono le Filippiche di Cicerone e le ultime lettere di Decimo Bruto prima di essere ucciso dai sicari di Ottaviano, riportate da Appiano, lo storico egiziano che «piaceva tanto a Marx». In queste missive Bruto spiega di essere stato trascinato nella congiura, ma perché «sottrarsi alla tirannide di Cesare - chiede Canfora per spiegare la posizione dei cesaricidi - per cadere in quella di Ottaviano?».

Certo, il ruolo di Cicerone è raffinatamente politico: le epistole che si scambia con i due contendenti durante le battaglie decisive sotto Modena le legge al Senato, e le commenta nelle Filippiche. C'è una lettera di enorme peso politico in cui Antonio dice in sostanza a Cicerone: «voi state facendo - ricorda il professore - il gioco di un partito che non esiste più, quello di Pompeo, e state violando la consegna delle mie truppe, a cui avevate detto di punire i cesaricidi, mentre tra le vostre fila c'è anche Galba, che ha ancora addosso il pugnale con cui è stato ucciso Cesare». Un'accusa al partito di Ottaviano, che sconfiggerà Antonio il 15 aprile del '43. La fine di Cicerone è nota. Meglio è andata a Tito Livio che, osserva Canfora, dispiacque con i suoi scritti talmente tanto Ottaviano, che il grande storico dovette attendere la morte di Augusto prima di poter nuovamente editare i suoi libri.

Alessandra Flavetta

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno Cultura & Spettacoli 13/11/2006





 

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