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13/03/2007.  Il Mediterraneo - Per non naufragare nel mare di sfide.

L’intervista con lo scrittore bosniaco Predrag Matvejevic: qual è il ruolo dell’Italia e della Puglia? Tra scontri, incontri e assimilazioni

Il Mediterraneo e la sua identità culturale in un mondo in veloce trasformazione dove gli stimoli, le relazioni, le possibilità di incontro e scontro, le contaminazioni diventano più rapide, frequenti, inevitabili. Quale futuro per il «mare nostrum»? Ne parliamo con lo scrittore bosniaco Predrag Matvejevic (autore del Breviario mediterraneo, Garzanti ed.) in questi giorni a Brindisi per un convegno su questi temi.

«Viviamo un momento - inizia - in cui la globalizzazione non è più a senso unico, cioè non arriva più solo dall’Atlantico verso l’Europa, ma si espande, viene dalla Cina e dall’India e di sicuro prenderà la Via della seta e non quella del Polo Nord. Una enorme quantità di merci, scambi, sfide ci attendono e dobbiamo esser capaci di affrontarle e “accoglierle” nel Mediterraneo. Già si prevede l’allargamento del Canale di Suez perché i traffici aumentano».

Siamo preparati? «Direi di no. Per fare un esempio, basta guardare alla situazione dei nostri porti. Molto debole, disordinata, incapace. Pochi riescono davvero ad essere competitivi. L’evoluzione è veloce. I grandi depositi portuali adesso non servono più, oggi pile di container separano i porti dalle città a cui appartengono. E così i porti perdono alcune loro funzioni essenziali».

Quali le ragioni del ritardo?

«Dobbiamo tornare al cuore del problema, all’identità. Ho spesso parlato del rapporto tra identità dell’essere e identità del fare. La prima è intensissima e caratterizza il nostro mare, dell’altra ce n’è poca. E in questa contraddizione c’è anche la diagnosi».

Viviamo poi l’alternativa che il convegno di Brindisi affronta: il prevalere dell’alleanza o dello scontro fra civiltà nel Mediterraneo?

«Il termine alleanza pare aver acquistato nuovo significato dopo il fallimento della Conferenza di Barcellona proclamato ufficialmente da Zapatero. Per una teorizzazione dello scontro di civiltà abbiamo da tempo il saggio di Samuel Huntington, Lo scontro delle civiltà e la trasformazione dell’ordine mondiale (The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order). E non meraviglia affatto che il suo lavoro sia stato accolto con entusiasmo sia da Bush junior e, ancora prima di lui, dai signori della guerra nei Balcani. Secondo Huntington lo scontro tra culture sarebbe l’inevitabile figlio dell’imperialismo, a sua volta generato dall’universalismo della nostra epoca».

Quali le sue critiche a questa teoria?

«Non si tratta di uno “scontro di culture” in quanto tali, ma di culture alienate e trasformate in ideologie. Esse operano e si scontrano non come vere culture, ma proprio come fatti ideologici. Il pericolo è noto già da tempo: una parte della cultura nazionale si è trasformata in varie epoche e in diversi luoghi in ideologia della nazione. Lo si è visto anche durante i regimi fascisti in Europa tra le due guerre, in Germania, in Spagna e anche in Italia: una gran parte della cultura, esaltando l’ideologia fascista, s’impregnava della sua essenza».

In quest’ambito potrebbe inquadrarsi anche la frattura con l’Islam?

«Certo. Non c’entra l’Islam come tale, ma la sua applicazione fanatica. Ripeto: la sua ideologizzazione. Occorre ricordarsene sempre quando sentiamo parlare di “scontro tra civiltà”. Tra fratture e convergenze anche lo stesso concetto di identità va percepito più come una realtà plurale e non singolare. L'identità singolare è nella maggior parte dei casi un pregiudizio o un errore. Idem nec unum, ci ricordava la saggezza latina. Chi può pretendere nel Mediterraneo - tranne forse su qualche isola - di avere una identità unica, singolare, separata dagli altri o in qualche modo assoluta? Aggiungo anche che qualunque tipo di appartenenza non dovrebbe essere concepita come valore. Può diventarlo solo affermandosi e confermandosi come tale. Insomma: non valgo di più perché sono mediterraneo, europeo, americano. Affermare il contrario significa automaticamente generare conflitti».

Che ruolo può avere la Puglia in questo Mediterraneo che cambia?

«Il mare Adriatico sconta già una posizione marginale rispetto al Tirreno. E tutta l’Italia del Sud oggi sta rimanendo fuori dalle nuove vie di collegamento, i corridoi europei. Alcuni partivano proprio da Bari, ma non sono divenuti priorità per Bruxelles. Ciò, bisogna dirlo, è anche un po’ colpa della sponda Sud, che sconta la sua congenita lentezza mediterranea, ma bisogna trovare nuove energie per reagire. Con le nostre forze, la genialità, la capacità di relazionarci, è necessario rinsaldare i rapporti con la nuova Europa dell’Est, fare blocco comune. Penso non solo ai Balcani, ma a Ungheria, Romania, Moldavia, Ucraina. Queste sono i nuovi confini, forse, le nuove sfide».

Nicolò Carnimeo

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno 27.02.2007





 

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