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29/11/2010.  QUANDO LA STORIA SI AVVICINA ALLA FICTION: LA BATTAGLIA DI CANNE? NESSUNA TESTIMONIANZA CONTEMPORANEA MA POLIBIO E TITO LIVIO NE HANNO FATTO UN BEST SELLER!.

Una definizione notissima di Cicerone dell' opera storica acquista dunque una fascinosa implicazione di novità: historia opus oratorium maxime, la storia è soprattutto un' opera di convinzione, il cui strumento, retorico, non può che appartenere al presente. «È opera di convinzione, certo, perché devo convincere chi mi legge che il mio modo di ricostruire la realtà è quello giusto. E appartiene al presente perché l' agenda dello storico è sempre dettata dalle preoccupazioni del suo tempo: l' importante è cercare di esserne consapevoli. Io ho scritto un libro che ha questo titolo: Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell' impero romano. Inutile sottolineare da quale zona della realtà attuale muova questo interesse verso il passato. Ci sono poi casi in cui lo spunto creativo dell' immaginario deve surrogare un silenzio quasi assoluto. Pensi alla battaglia di Canne. Non abbiamo nessuna testimonianza contemporanea. Ce ne parlano solo, molto dopo, Polibio e Livio. Ed essi, per capire quel che era accaduto veramente, non avevano che le proprie idee e le loro parole. Ciò vale a maggior ragione per noi».


Repubblica - 29 novembre 2010 pagina 38 sezione: CULTURA


GUARDA QUI "ULISSE: IL FATTORE ANNIBALE. LA BATTAGLIA DI CANNE" (RAI TRE)


http://www.youtube.com/watch?v=mgWolxmmWpg


Fra la metà e la fine dell' Ottocento, con lo sviluppo delle scienze esatte, si diffuse nella cultura europea un paradigma interpretativo basato sul "fatto". Gli storici coltivarono la certezza di poter trasformare la storiografia in un' operazione scientifica, sostenuta dai documenti. Oggi le cose sono cambiate: molte delle opere che tuttora si definiscono "storiche" fanno supporre, malgrado lo scrupolo documentario si sia affinato nelle tecniche e nei risultati, il raggiungimento di un effetto di realtà, più che la ricostruzione di una realtà vera e propria. È da poco in libreria un' opera di Alessandro Barbero, storico di professione, ma autore anche di romanzi storici; Lepanto. La battaglia dei tre imperi (Laterza, pagg. 768, euro 24).


Si tratta di un libro che, ricostruendo le vicende della battaglia, non mira tanto alla concettualizzazione, ma al racconto, amministrato con grande perizia tecnica. È quel che trasforma uomini e donne di cinque secoli fa in personaggi di una storia o meglio di molte storie che sembrano inventate e invece hanno una base rigorosamente oggettiva, come testimonia l' imponente apparato di note in fondo al volume. Ma quella oggettività è reale? Alessandro Barbero, la battaglia di Lepanto ricostruita nel suo libro non appartiene in realtàa se stessa, ma al nostro presente. È così? «Vi sono più modi di considerare l' immaginario parte della realtà. Lo storico ricostruisce avvenimenti che hanno avuto per protagonisti degli uomini, ed è importante cercare di scoprire che cosa quegli uomini immaginavano di fare o credevano di aver fatto.


La battaglia di Lepanto fu un avvenimento molto più importante sul piano della memoria collettiva e dell' investimento ideologico, che non dal punto di vista delle conseguenze pratiche, politiche o militari. Ma quello a cui accenna lei è più radicale, attribuisce all' immaginario dello storico una funzione maieutica: senza una certa dose di "invenzione", non sarebbe veramente possibile recuperare il passato. Questo perché le informazioni che noi abbiamo sul passato sono frammentarie, insufficienti,i vuoti vanno colmati, e, nel farlo, la sensibilità di uno storico può essere diversa da quella di un altro, soprattutto se vivono in epoche diverse». Un grande studioso come Georges Duby pensava che l' attività dello storico si potesse definire un' invenzione rigorosa, basata su testimonianze il più possibile esatte, ma pur sempre invenzione. Una definizione notissima di Cicerone dell' opera storica acquista dunque una fascinosa implicazione di novità: historia opus oratorium maxime, la storia è soprattutto un' opera di convinzione, il cui strumento, retorico, non può che appartenere al presente.


«È opera di convinzione, certo, perché devo convincere chi mi legge che il mio modo di ricostruire la realtà è quello giusto. E appartiene al presente perché l' agenda dello storico è sempre dettata dalle preoccupazioni del suo tempo: l' importante è cercare di esserne consapevoli. Io ho scritto un libro che ha questo titolo: Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell'impero romano.


Inutile sottolineare da quale zona della realtà attuale muova questo interesse verso il passato. Ci sono poi casi in cui lo spunto creativo dell' immaginario deve surrogare un silenzio quasi assoluto. Pensi alla battaglia di Canne. Non abbiamo nessuna testimonianza contemporanea. Ce ne parlano solo, molto dopo, Polibio e Livio. Ed essi, per capire quel che era accaduto veramente, non avevano che le proprie idee e le loro parole. Ciò vale a maggior ragione per noi».


Anche i requisiti scientifici, allora, una volta innescati e trattati dalle nostre parole, ci restituirebbero un' immagine di realtà che rende meno vertiginosa la differenza fra history e fiction.


«La differenza sta nel fatto che quando faccio storia la mia immaginazione non può contraddire i dati offerti dalle fonti: deve completarli, ma di fronte alla realtà, agli hard facts, deve fare umilmente un passo indietro. Quando invece scrivo un romanzo, l' immaginazione è regina. In entrambi i casi il passaggio attraverso la scrittura è decisivo. Diciamo che, come accade a ogni suo oggetto di applicazione, la scritturaè creativa, non decorativa».


GIUSEPPE LEONELLI


http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/11/29/quando-la-storia-si-avvicina-alla-fiction.html


 






 

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