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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

31/08/2016.  BARLETTA - PER CARLO CAFIERO, PADRE DELL’ANARCHISMO EUROPEO, ECCO L’ANNIVERSARIO DIMENTICATO DALLA POLITICA: NASCEVA IL 1° SETTEMBRE 1846 CHI AVREBBE CONSEGNATO IL NOME DELLA CITTA’ ALLA STORIA DEL PENSIERO POLITICO D’OGNI TEMPO. .

Due lapidi su due antichi palazzi di corso Vittorio Emanuele, la borbonica “strada della cordoneria”. Della serie “Gli anniversari celebri”. E dimenticati proprio dalla politica nostrana. Barletta centosettant’anni fa: 1846, nascono due bei maschietti destinati, da grandi, a consegnare il nome della città alla storia dell’arte ed alla storia del pensiero politico d’ogni tempo. Al civico 23, Giuseppe De Nittis, omaggiato anche per la data della sua morte, lo scorso 21 agosto, con la nostra corona d’alloro sulla facciata di casa sua, addobbata a festa con un’operazione di “meltinpot” cultural-promozionale ad uso e consumo dei governanti locali.

Pochi mesi dopo, sempre in quel 1846, nel palazzo di Ferdinando Cafiero, all’attuale civico 111, a pochi metri dalla prepositura di San Giacomo, Luigia Azzariti dà alla luce Carlo, in una famiglia (già popolata di due fratelli e due sorelle) dell’agiata borghesia terriera di Barletta e circondario, famiglia notabile anche per la pubblica reputazione dei suoi esponenti destinati alla carriera parlamentare e civile dopo l’Unità d’Italia. Era martedì 1° di settembre.

Vite iniziate dunque parallele per i piccoli Peppino e Carluccio, figli dell’alta borghesia e di un ceto diventato proprio in quegli anni di riferimento per Barletta. Ma con esiti ben differenti. Giuseppe De Nittis diverrà l’affermato pittore che conosciamo: morì giovanissimo a Parigi a soli 38 anni nel 1884. Carlo Cafiero sarà noto come l’ideologo ed il finanziatore di un socialismo utopista a valenza europea con Bakunin, Marx ed Engels: “pecora nera” della famiglia, addirittura cancellato come parente assai scomodo nella memoria dei congiunti più stretti per i burrascosi trascorsi di polizia, morì di malattia mentale nel manicomio criminale di Nocera Inferiore a 46 anni nel 1892. “Io sono il figlio del sole” ripeteva a chi lo vedeva aggirarsi seminudo nel cortile: non chiaro segno di demenza ma chiarissimo messaggio politico, fra anarchia e socialismo utopistico…

Crebbero così legati insieme, nell’infanzia, nell’adolescenza ed in gioventù fino alle porte dell’età più matura, da un’amicizia che si sarebbe consolidata negli anni successivi con gioia e reciproco rispetto. Identici i percorsi dell’educazione e della formazione al mondo, identico il carattere focoso e ribelle, identiche le mete dei “viaggi sentimentali” da Napoli a Firenze, a Parigi, a Londra.

Nel Taccuino autobiografico di De Nittis, l’artista parla spesso dell’amico Cafiero, delle sue visite nella casa parigina, del suo bell’aspetto di uomo meridionale che affascinava le donne francesi di quel tempo. L’amicizia era scambievole ed accettata con felicità e “joie de vivre” da entrambi, aiutati dalla loro stagione di benessere e di agiatezza: che a Giuseppe proveniva dall’essere ormai pienamente accreditato al “box office” della celebrità gaudente come pittore della mondanità e della bella gente, e che a Carlo derivava dalle rendite di quelle terre al sole dove l’esistenza dei contadini era spesso pura e semplice sopravvivenza alla fame ed agli stenti del duro lavoro alle soglie della rivoluzione industriale ma che nel Mezzogiorno d’Italia sarebbe arrivata molto dopo.

Destini diversi ma per sempre ad incrociarsi nel cammino delle rispettive vite. Testimoni di quell’Ottocento che diventa spartiacque dopo la spedizione dei mille garibaldini e l’annessione al Regno d’Italia delle Due Sicilie: dove il nome di Barletta viene citato anche nel codazzo delle rispettive biografie dove si respira spesso e volentieri aria da romanzo, oltre che delle monumentali bibliografie, specie quella denittisiana.

Sulla nostra carta dell’identità culturale? Oggi come oggi, a 170 anni dalla nascita, due lapidi sulla facciata delle case dove nacquero. Restano più evidenti i segni del gran pittore, grazie alla collezione donata alla città dalla vedova Léontine, visibile a Palazzo della Marra. Un po’ meno quelli dell’ideologo socialista, forse perché la politica (anche e soprattutto quella di casa nostra) versa in una crisi ancora più profonda come idee, e dove ai “rimpasti” bisognerebbe invece sostituire il gusto forte della rinascita. Già, proprio così: rinascita, parola cara ad una certa sinistra del buon tempo che fu. E chi vuol intendere, intenda…

Nino Vinella
Giornalista
lunedì 29 agosto 2016

Dal Taccuino di Giuseppe De Nittis.

Nel 1870, non appena venne la primavera, tornammo alla casetta di Jonchère, tra Bougival e Rueil. Lì avevamo posto sufficiente per ospitare i nostri amici. E lì un giorno vidi giungere il mio caro compagno d’infanzia Carlo Cafiero. Colui che in seguito fece tanto parlare di sé.
Avevamo tutti e due 24 anni. Carluccio Cafiero era un giovane bellissimo: qualche volta le bagnanti della Grénouillère glielo fecero capire, ed egli, contrariamente a Cecioni, non se ne vantò!

La gente delle nostre province aveva messo in giro un mucchio di chiacchiere sul suo conto. Si diceva che fosse un pazzo, un dissipatore incosciente e superbo. A 24 anni lo trovai un uomo fatto, spirito distinto, colto, intelligente, che parlava francese, inglese, e tedesco e l’italiano naturalmente, il tutto con raro grado di perfezione.

Era alto e di forza non comune. Parlammo di Barletta, delle saline, dei ricordi d’infanzia, della scuola che avevamo frequentato insieme. Carluccio fu un compagno squisito, per me e per mia moglie che talvolta egli chiamava sorellina.

Era un uomo di una grazia incomparabile, di una agilità di spirito sorprendente. Ricchissimo, spendeva poco benché si avvertisse che non era affatto avaro.

Non aveva esigenze. I suoi fratelli amministravano le proprietà, che erano indivise come le nostre. Egli invece non faceva nulla, si lasciava vivere. Adorava le donne di Francia, non riceveva lettere se non dal nostro paese, dalla madre, della quale parlava con adorazione, e dai fratelli. Rispondeva su un angolo di tavolino, rapidamente, con letizia.

Egli compiva ogni suo atto con giocondità, con una apparente noncuranza della quale mia moglie lo rimproverava: “Carluccio, non è ragionevole. Dovreste fare qualcosa. Con il vostro spirito… Provate a scrivere”.
Carlo sorrideva appena e prendeva la strada che porta alla Grenouillère dove rimaneva in acqua tutto il giorno.
A sera, chiacchieravamo.

Quattro giorni la settimana rimaneva con noi. Gli altri tre giorni partiva, senza lasciare indirizzo. Pensavamo a qualche avventura.

Carlo Cafiero (1846-1892), una delle figure più rappresentative del movimento anarchico. Di ricca e nobile famiglia, compì i primi studi nel seminario di Molfetta e si laureò in legge a Napoli. Nel 1867, a Parigi, entrò in contatto coi circoli rivoluzionari; poi conobbe a Londra Marx ed Engels e, nel 1871, si recò a Napoli per riorganizzare la locale sezione dell’Internazionale. Convertitosi all’anarchisimo, subì l’influenza di Bakunin. Nell’aprile del 1877 organizzò e diresse con Malatesta il tentativo insurrezionale di Benevento; arrestato, compendiò in carcere il primo volume del Capitale. Liberato, dopo un anno e mezzo di carcere preventivo, tornò all’attività rivoluzionaria e subì frequentissimi arresti. Colpito da malattia mentale, si spense, fra indicibili sofferenze, nel manicomio di Nocera Inferiore.





 

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