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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

16/03/2007.  ARCHEOLOGIA - A Napoli una mostra su Iside e il mistero.



Il culto della dea egizia e delle altre divinità alessandrine attraverso i reperti ritrovati nelle città vesuviane, già dall’VIII secolo avanti Cristo. Le immagini magiche in statue, amuleti, oggetti di rito. Egittomania anche a Pompei: il sacro Nilo nell’antica Campania. Il modello egizio trova nuove eclettiche applicazioni nella chiesa del Camposanto di Barletta dell’ingegner Francesco Sponzilli (1746-1864), barlettano di nascita, a forma di piramide.

Uno fra i non molti edifici pubblici oggetto di restauro dopo il rovinoso terremoto che, nel 62 dopo Cristo, recò gravi danni alla città di Pompei, fu il tempio di Iside, posto vicino alla porta di Stabia, lontana quindi dal centro cittadino. L’Iseo era stato costruito agli inizi del II secolo avanti Cristo per favorire le esigenze religiose dei negotiatores, i commercianti campani, che frequentavano il mercato nell’isola greca di Delo (fiorente soprattutto per la vendita di schiavi) e che si erano convertiti alla religione egizia; ma anche per favorire le richieste dei mercanti, alessandrini prevalentemente, che curavano gli scambi a Pompei. Il monumento fu ricostruito e ampliato nei pochi anni che separano il sisma dalla catastrofica eruzione del 79 d. C. che seppellì Pompei sotto una coltre di lava, grazie alla munificenza di un fanciullo, come recita l’iscrizione posta sul muro di cinta del santuario: «Numerio Popidio Celsino, figlio di Numerio, ricostruì a proprie spese, dalle fondamenta, il tempio di Iside, crollato per il terremoto. I decurioni lo accolsero, per questa generosità nel loro ordine, gratuitamente, benché avesse sei anni». In realtà fu il padre, Numerio Popidio Ampliato - liberto dell’importante «gens Popidia», che per la sua condizione servile non aveva potuto affrontare la carriera politica - a farsi carico delle spese della ricostruzione del tempio per facilitare la carriera del figlio, la stessa che a lui era stata preclusa.

Il tempio, di non grandi dimensioni era situato al centro di un cortile con portici colonnati, aveva una sala per riunioni e ambienti di servizio; vi si accedeva da una scalinata. Le pareti dell’Iseo erano affrescate, in gran parte con decorazioni di tipo architettonico e paesaggistico. Lungo il portico alcune scene propongono invece le immagini dei sacerdoti della dea vestiti di bianco, la testa rasata, ai piedi sandali di giunco, gli strumenti del culto tra le mani, così come li descrivono le fonti letterarie, Apuleio fra tutti. Tra i ministri del culto si distinguono il sacerdote con maschera di Anubi, lo sciacallo divino, avvolto completamente nella tunica rossa, e la figura di un fanciullo che in lunga veste bianca regge la situla d’argento, a forma di mammella perché conteneva il latte sacro: il ragazzo si distingue dagli altri per la folta capigliatura. L’hanno riconosciuto come Numerio Popidio Celsino, il benefattore del tempio. Le lastre dipinte, dai colori ancora vivi, statue e immagini della dea, l’iscrizione dedicatoria, gli oggetti del culto e i candelabri provenienti dall’Iseo sono esposti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, nella mostra, ancora in corso "Egittomania. Iside e il Mistero".

Alla base della scelta espositiva e delle ragioni della mostra c’è un principio, evidenziato da Stefano De Caro nell’introduzione al relativo catalogo, che è quello «di predisporre gli strumenti espositivi e museologici per integrare, a distanza di circa dieci anni, l’allestimento dei materiali del tempio di Iside a Pompei nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli con quelli della diffusione del culto in ambito privato nelle città vesuviane, il tutto riconsiderato alla luce delle nostre conoscenze dello stesso fenomeno nell’intera Campania». Non solo dunque un’esposizione, bensì un’occasione per tracciare un bilancio delle conoscenze sul fenomeno religioso del culto isiaco e delle altre divinità del pantheon egiziano sullo sfondo delle istanze politiche e socio-economiche della Campania antica. Una mostra destinata quindi a produrre una nuova forma di esposizione museale dei materiali già noti e di quelli restituiti dalla più recente ricerca sul terreno e nei depositi del museo. Con la conseguenza di predisporre una sezione del museo aggiornata, migliorata, per essere fruita sempre e da tutti e non solo in occasioni da non perdere ma purtroppo temporanee e spesso antologiche.

Le rassegne utilizzate quindi per valorizzare le collezioni museali - e quelle napoletane sono straordinarie per qualità e valore storico - integrandole con oggetti prestati da altre istituzioni o da privati, utili comunque alla completezza dell’informazione su tematiche da approfondire e classi di materiali da riordinare e da restaurare. Affinché poi, sulla spinta dell’evento, il tradizionale percorso museale risulti arricchito e stimolante con proposte nuove nella conoscenza e quindi nell’allestimento. La mostra del Museo di Napoli, incentrata sul culto della dea Iside in Campania propone - attraverso la presenza di oggetti rinvenuti nella regione e conservati in contesti già dell’VIII secolo a. C. - l’esistenza di contatti di questa terra con il mondo egizio mediante l’ampia diffusione nel Mediterraneo occidentale, pilotata dai Fenici, degli Aegyptiaca,amuleti e scarabei che diffondono immagini magiche e divine. E, anche se gli dei dell’Egitto vengono assimilati a quelli dell’Olimpo greco già dallo storico Erodoto nel V secolo a. C., è solo nel III secolo a. C. ad Alessandria, la capitale dell’Egitto tolemaico, che le divinità egizie assumono le forme dell’iconografia greca, anche se, per molte di esse, resta forte la connotazione indigena.

Da Alessandria, attraverso Delo - cardine dei commerci mediterranei e isola in cui viene costruito alla fine del III secolo a. C. il primo tempio dedicato a Serapide, lo sposo di Iside, dio della navigazione, il culto della della dea, che ha poteri di salvezza ma è anch’essa patrona del mare, insieme a quello degli altri dei alessandrini, muove verso Ostia, Pozzuoli, Pompei tra manifestazioni di condivisione del culto ma anche di dure persecuzioni. Arredi, sculture, affreschi, strumenti rituali, iscrizioni anche in geroglifico a sottolineare il carattere misterioso del messaggio, documentano la popolarità e la diffusione del credo religioso, incrementato dai prodotti figurati, che giungono insieme al grano direttamente da Alessandria dove le navi stivavano anche marmi preziosi, gemme splendenti, incensi d’Arabia, cotone e avori dell’India, sete della Cina e anche la sabbia del Nilo utilizzata per gli esercizi di lotta nelle palestre. Con l’affermarsi del culto cresce anche la committenza di indagini e manufatti che gli artigiani campani mediano attraverso i modelli d’oltremare o che vengono realizzati da maestranze alessandrine in patria o nelle botteghe che si aprono a Roma, dove è esplosa l’egittomania.

È da attribuire probabilmente a una manifattura alessandrina il servizio di tazze, di squisita qualità, in ossidiana, il vetro di origine vulcanica assai consistente, lavorate ad intarsio con lapislazzuli, coralli e altre pietre dure, cucite con fasce d’oro e decorate con motivi legati al culto egizio, rinvenuto a Stabia, nella villa di S. Marco e realizzato in età augustea, dopo la conquista dell’Egitto nel 31 a. C. Gravi segni di crisi nei rapporti con l’Egitto si colgono negli empori campani nel corso del III secolo e soprattutto nel IV secolo d. C. quando il culto di Iside tramonta, sommerso infine dall’invettiva del vescovo di Nola, Paolino. Le grandi scoperte nel Settecento di Pompei e delle altre città vesuviane segnano poi nella cultura illuministica un ritorno all’Egitto che si manifesta nella ricerca di tracce da inseguire. La visita di Wolfgang Amadeus Mozart, allora quattordicenne, agli scavi di Pompei, al tempio di Iside particolarmente, potrebbe aver suggestionato ad esempio la stesura del coro degli iniziati al culto di Iside del Flauto Magico,che propone nella scenografia dell’opera un quadro ispirato a una rappresentazione figurata da Ercolano che il musicista vide nella reggia di Portici, con il sacerdote in alto sulla scalinata del tempio che mostra ai fedeli dal capo rasato, la brocca con l’acqua del Nilo. Così come le manifatture ferdinandee realizzavano statue, servizi da colazione, vasi e candelieri con motivi egittizzanti e gli architetti dell’Ottocento imponevano uno «stile egizio» agli edifici di Napoli e dell’Italia meridionale.

Nella chiesa del Camposanto di Barletta dell’ingegner Francesco Sponzilli (1746-1864), barlettano di nascita, a forma di piramide e del pronao monumentale con capitelli egittizzanti del cimitero di Alberobello dell’architetto Antonio Curri del 1887, il modello egizio trova nuove eclettiche applicazioni. La mostra «Egittomania. Isidie e il Mistero » a Napoli è ideata dalla Direzione regionale per i Beni culturali della Campania in collaborazione con le Soprintendenze per i Beni archeologici di Napoli e Caserta e di Pompei. La mostra si avvale di un eccellente catalogo a cura di Stefano De Caro (Electa ed., pp. 271, con un corredo fotografico esaustivo e di grande qualità), con saggi che analizzano il culto pubblico e privato di Iside, affidati a storici delle religioni e dell’architettura, capaci di costruire una efficace sintesi di critica sul culto della dea egizia in Campania.

Raffaella Cassano

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno 27.2.2007






 

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