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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

06/10/2005.  La Roma dei sette re è esistita: scoperta la reggia .

Il 31 luglio si è conclusa la campagna estiva dello scavo iniziato nel 1985 lungo le pendici settentrionali del Palatino: Andrea Carandini, direttore della missione, racconta la scoperta dei resti della Roma dell’VIII secolo a.C., quell’età regia che la storiografia riteneva un’invenzione


di Andrea Carandini


Roma. Sono vent’anni che scavo lungo la pendice settentrionale del Palatino, circondato da migliaia di giovani. Siamo partiti dall’Arco di Tito e siamo arrivati al Tempio di Vesta. Già l’idea che molti possano fare insieme ciò che al singolo è negato è idea eccitante. Scoprire che il luogo più scavato del mondo romano e più ricco di fonti letterarie è noto solo in superficie e che sotto sprofondano radici che risalgono all’abitato del IX secolo a.C. anche mi attrae. E ancora più mi piace varcare il tempo della Romanità più nota per entrare nelle età oscure, alla ricerca dell’origine della città e della proto-città, e farlo sia nel ventre di Roma sia indagando nella memoria culturale dei Romani. La scoperta nostra più vera è la seguente: tutto è conservato sotto i nostri piedi in proporzione tale da consentirne una ricostruzione. Certo, se vogliamo tutto sano, come il Pantheon, scendere agli inferi non possiamo.
L’idea era quella di trovare sotto le costruzioni imperiali le case dei grandi che hanno fatto l’impero. È il quartiere descritto da Cicerone, che vi abitava. Siamo poi scesi ancora e sono saltate fuori le case aristocratiche del VI secolo a.C., le prime a presentare un atrio, anche se per niente canonico, e queste case sono durate fino all’incendio del 210 a.C.; per cui Fabio Pittore, primo storico romano, passeggiava fra monumenti arcaici, non distrutti dai Galli… Siamo scesi ancora un poco, ma non abbiamo più trovato case. Solo una serie di mura ai piedi del monte e parallele a esso, il cui tratto più antico si data intorno al secondo quarto-metà dell’VIII secolo a.C. Più giù ancora è emerso un quartiere di capanne databili dalla metà del IX rasate appositamente per costruire il muro, e poi il «vergine». Gli antiquari Romani, a partire da Varrone, menzionavano una realtà sacrale (anche proto-politica?) chiamata «Septimontium» e che avrebbe preceduto Roma. In questa realtà abbiamo inquadrato il nostro rione di capanne.
Antiquari e annalisti romani ritenevano che Roma (Quadrata) fosse stata fondata sul Palatino da Romolo, che avrebbe ottenuto da Giove l’inaugurazione, cioè una speciale benedizione del monte. Il limite sacro della terra benedetta («pomerium») sarebbe stato protetto da un «murus» dotato di «sanctitas» e cioè inviolabile. Limite e mura sarebbero durati per due secoli, fino a Servio Tullio, che avrebbe spostato «pomerium» e mura fino a includere tutti i rilievi prima non inaugurati ma abitati di Roma. Abbiamo pertanto inquadrato le nostre mura in questo orizzonte cronologico e rituale. Esse infatti vengono in gran parte distrutte intorno al secondo quarto del VI secolo (il tempo di re Servio) e vi si costruiscono sopra le prime case aristocratiche ad atrio. Ciò non toglie che le antiche mura palatine vengano restaurate, a partire dallo stesso Servio, in quanto eredi della fondazione, specialmente in concomitanza delle porte che introducevano al monte rotuleo. Vestigia di tali realtà sono durate fino a Nerone, come abbiamo potuto riscontrare scavando. Di fronte a queste realtà gli storici romani attuali sono rimasti sbalorditi, perché il tabù fondante della storiografia romana è che l’intera prima età regia altro non è che favola. Alcuni hanno cercato di trattare i resti come entità pre-urbane, altri hanno detto che serviranno decenni e decenni per digerire queste scoperte e altri ancora (i più seri) hanno ammesso che l’inizio delle mura palatine segna una discontinuità tale da dover segnare l’inizio del fenomeno urbano; ma per poter parlare di città-stato pienamente formata bisogna avere, oltre al Palatino murato, anche il complesso del Foro funzionante, e siccome tale complesso veniva datato dopo la metà del VII secolo, essi hanno ritenuto che solo da allora Roma veramente esisteva. Allora, pazienti, siamo usciti dalle mura palatine e siamo scesi nel Santuario di Vesta, esterno a esse perché facente parte del complesso del Foro. Il culto pubblico di Vesta, o del focolare comune, non può che essere indizio fondamentale dell’esistenza del Foro e quindi della città. Abbiamo individuato i limiti del Santuario e lo abbiamo per la prima volta scavato fino al terreno vergine. La scoperta è stata qui ancora grandiosa: non era vero che gli edifici del santuario avevano inizio dopo la metà del VII secolo, ma cominciavano anch’essi, come le mura, intorno alla metà dell’VIII secolo a.C. Avevamo dunque (tralascio altri indizi del Foro e del Campidoglio) una città-stato nel pieno significato del termine già in età romuleo-numana. Era dunque la memoria dei romani in forma di leggenda ad aver ragione nella sostanza e non la critica storica, che questa sostanza sempre aveva negato. Secondo gli antichi le case ufficiali dei re si trovavano nel complesso di Vesta. Orbene nella parte orientale del Santuario abbiamo scoperto una domus Regia, grandiosissima per l’epoca, databile intorno alla metà dell’VIII secolo, più volte poi ricostruita. Si tratta di un edificio ancora in tecnica capannicola ma che ha l’aspetto di una prima casa aristocratica romana a corte, con sala da banchetto e forse anche sacrario dei culti domestici, dotata di un bancone lungo le pareti; vi si accede da un protiro tenuto da due possenti colonne in legno. Ai lati si dispongono varie stanze, con portichetto ligneo antistante per sostenere il tetto. Nulla a che vedere con le modeste capanne anteriori alle mura. L’edificio si dota presto di una seconda sala e si articola a «L», con forme sempre più complesse, fino ad arrivare alla domus del terzo quarto del VII secolo, più grande e complessa, costruita finalmente con scaglie di tufo e con tetto in terracotta.
Siamo al tempo di Anco Marcio. I Tarquini si costruiranno un’altra domus, continua a quella descritta, ma esterna al santuario, e nella parte del santuario abitata dai primi re andrà a vivere un sacerdote che sarà il solo uomo a conservare il titolo di re anche durante la Repubblica, il rex Sacrorum. Poco più a ovest, davanti al Tempio di Vesta, sotto la casa delle vestali, più volte ricostruita fino all’età arcaica, abbiamo individuato i resti di una poderosa capanna, anch’essa della metà dell’VIII secolo a.C. Qui hanno abitato probabilmente le prime sacerdotesse del focolare comune dello stato Romano. A questo punto rimaniamo storditi e ci verrebbe voglia di fraternizzare perfino con gli storici più scettici.

Fonte: Il Giornale dell'Arte.Com







 

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