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Mensile telematico di archeologia, turismo, ambiente, spettacolo, beni e attività culturali, costume, attualità e storia del territorio in provincia di Barletta–Andria-Trani e Valle d’Ofanto

Iscritto in data 25/1/2007 al n. 3/07 del Registro dei giornali e periodici presso il Tribunale di Trani. Proprietario ed editore: Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia - Barletta (BT)

 

17/12/2009.  PERSONAGGI – SPARTACUS, IL GLADIATORE CHE FU PROFETA RIBELLE PER IL SUD.

Per alcuni fu un brigante, per altri una sorta di «profeta armato». Di Spartaco, il gladiatore e schiavo trace che capeggiò una celebre rivolta servile contro Roma nel 73 avanti Cristo, molto si è scritto. E tuttavia, a distanza di due millenni, è sempre più il secondo volto - quello del profeta ribelle - ad avere il sopravvento nella nostra immaginazione. D’altronde la lista degli ammiratori di questo condottiero di diseredati e disperati comprende nomi disparati: da Voltaire a Reagan, da Marx a Garibaldi. Certo tanta simpatia aveva una sua base emotiva già in alcuni resoconti di storici latini, soprattutto Sallustio, lo scrittore a lui più contemporaneo (essendo nato nell’86 a. C.), il quale nei suoi brani superstiti manifesta una indubbia vicinanza per lo schiavo ribelle.
Difatti la leggenda di Spartaco resta ancora un enigma: non solo perché di lui parlarono esclusivamente i vincitori; ma anche perché le testimonianze «di prima mano» ci sono giunte lacunosissime. Ed è con vera frustrazione che lo storico moderno si accinge a ricostruire quella pagina antica - vaga e suggestiva -, costretto com’è a un esercizio costante di ipotesi e di collegamenti a volte forzati.
Propone ora la sua ricostruzione lo storico americano Barry Strauss con La guerra di Spartaco (trad. Laterza ed., pp. 265, euro 19). Strauss è uno specialista delle storia della guerra nell’antichità (Laterza ha già tradotto la sua Guerra di Troia e La forza e l’astuzia sulla battaglia di Salamina tra Greci e Persiani) e per raccontare la rivolta di Spartaco intreccia le testimonianze antiche su quegli eventi con la conoscenza diretta dei possibili scenari in cui essi si verificarono. E difatti questo ulteriore aspetto risulta essere molto coinvolgente rispetto alle precedenti ricostruzioni: lo studioso americano conosce e descrive i territori dell’Italia meridionale, le montagne e le valli, i fiumi e i mari che videro la massa di schiavi fuggitivi scorrazzare e sfuggire alla caccia delle coorti romane.
In Campania, in Lucania soprattutto, nella Calabria, che allora era il Bruzio, e anche nella Puglia, ci conduce Barry Strauss, sulle tracce di Spartaco.
La ribellione degli schiavi cominciò a Capua, in una «scuola» di gladiatori. Ma non fu certo la prima: negli anni precedenti erano deflagrate altre rivolte, specie in Sicilia, nel 135-132 e 104-100 a. C. Il suolo italico d’altronde pullulava di troppi schiavi, e si stima che ce ne fossero circa 1 milione e mezzo, corrispondenti al 20 per cento dell’intera popolazione.
Spartaco era stato presumibilmente un soldato ausiliario nei reggimenti romani; ma disertò diventando un «latro», un brigante. Catturato, fu adibito ai giochi gladiatorii. La sua esperienza militare lo induce a non affrontare mai in campo aperto le legioni di Roma; ma a elaborare un’astuta strategia di guerriglia.
Il Vesuvio fu dunque il primo impervio rifugio dei gladiatori ribelli, e le aspre montagne lucane e calabresi il loro territorio di manovra. L’antica Turi (la città fondata dai Greci nella Calabria jonica) fu l’unica città che gli insorti occuparono.
Il potere di Roma sottovalutò l’importanza della ribellione, inviando dapprima sconosciuti pretori e poi - quando «paura e disprezzo, odio e ammirazione, indifferenza e ossessione» si impossessarono dell’opinione pubblica - mandando consoli inesperti. Spartaco si manifesta un vero genio della guerriglia e sbaraglia i malcapitati.
Certo deve tenere a freno l’euforia dei suoi per le incredibili vittorie conseguite, e per l’ingenuo impeto che li spingeva ad affrontare le legioni una volta per tutte. È l’errore che compirà Crisso, il suo socio in ribellione; il quale si distaccherà con una parte dei rivoltosi e sarà sconfitto sul Gargano sonoramente. Ma Spartaco riuscirà a vendicare l’amico con una vittoria, e gli dedicherà un omaggio funebre con giochi gladiatori, in cui però gli schiavi erano gli spettatori e nell’arena si affrontavano i romani, fino all’ultimo sangue.
Il volume è come un romanzo: sentimenti, ambiguità, arroganza, disperazione e paura prendono corpo nelle pagine. E si delineano anche attraverso la presentazione dei vari personaggi che la storia ci ha suggerito, anche solo in un rigo: la sacerdotessa tracia, che forse era la compagna di Spartaco, il pirata fedifrago, i pretori romani e «il decimatore», quel Crasso che accettò l’imperium (il comando affidatogli dal senato), contando di farne leva per le sue ambizioni politiche. (Peccato però qualche evidente svista: là dove si dice che Crasso vide a 13 anni suo padre decapitato e a 20 invece assistette al suo trionfo; o laddove si dice che suo padre Publio era impegnato in Lusitania contro Viriato, che pure visse 50 prima.)
La conclusione non fu come la immaginò Hollywood: dopo la sconfitta nel 71 a. C., seimila schiavi furono crocifissi sulla strada che portava a Roma. Ma non c’era Spartaco, il cui corpo non fu trovato.
Giacomo Annibaldis

http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_le_analisi_NOTIZIA.php?IDNotizia=292851&IDCategoria=2682






 

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